Una cronologia e qualcosa di più
“I nostri diritti nascono dalla vittoria, la legge suprema delle nazioni, dice il governo vincitore.
La guerra del Pacifico, la guerra del salnitro, è finita. Per mare e per terra il Cile ha polverizzato i suoi nemici. Vengono annessi alla carta del Cile gli immensi deserti di Atacama e Tarapacà. Il Perù perde il salnitro e le esauste isole del guano. La Bolivia perde lo sbocco al mare e resta isolata nel cuore dell’America del Sud.
A Santiago del Cile festeggiano la vittoria. A Londra la riscuotono. Senza sparare un colpo né spendere un penny, John Thomas North è diventato il re del salnitro. Con denaro prestato dalle banche cilene, North ha comprato per una bazzecola i buoni che lo Stato peruviano aveva consegnato ai vecchi proprietari dei giacimenti. North li comprò non appena scoppiò la guerra; e prima che la guerra finisse, lo Stato cileno ebbe la gentilezza di riconoscere i buoni come legittimi titoli di proprietà”[1].
A raccontarci come questa storia ebbe inizio è Edoardo Galeano, nel secondo volume della sua trilogia sulla storia del continente desaparecido. Perché una cronologia come punto di partenza per capirci qualcosa della intricata e lunga storia cilena? La risposta non è solo legata ai fondamenti del metodo di sviluppo di una ricerca storica, che parte sempre dalla linea del tempo (e dello spazio).
Il motivo è anche legato a una particolarità riscontrata durante il lavoro di intervista ai militanti politici che sono la fonte principale di questo lavoro: tutti o quasi hanno rilevato la stranezza e l’anomalia dell’intervento pinochetista l’11 settembre 1973, perché il Cile, diversamente ad esempio dall’Argentina sua vicina, non ha una tradizione golpista consolidata lungo tutta la sua storia. Il che è in parte vero e in parte no.
Osservando la storia di lungo periodo del paese andino, si possono indovinare alcuni caratteri di lungo periodo, utili a comprendere meglio il golpe contro Salvador Allende e le forze politico-sociali che lo sostenevano. Ciò che avviene durante il colpo di Stato pinochetista è il risultato di un intreccio di fattori che rendono meno inspiegabile l’intervento militare, all’interno del contesto latinoamericano durante la Guerra Fredda, e in particolare la fase dell’egemonia della dottrina della controinsorgenza.
Esercito e risorse naturali
In primo luogo, il ruolo dell’esercito come agente dello sviluppo economico del paese: più che la guerra del Pacifico, che getta le basi per la ricchezza di risorse del suolo cileno, è la guerra civile del 1891 che sancisce la privatizzazione in mani estere del salnitro e del rame come caposaldo della politica economica ed estera del Cile. La guerra civile scoppia proprio sul tentativo del presidente Balmaceda di nazionalizzare le risorse naturali del paese: sostenuto dall’Esercito di terra, si contrappone al Congresso, appoggiato dalla Marina, contrario alla nazionalizzazione. Il Congresso a maggioranza è formato da esponenti della medio-alta borghesia e dai proprietari terrieri, che non hanno alcun interesse a un controllo pubblico dell’economia, ma preferiscono mantenere i rapporti di clientela internazionale costruiti con la Gran Bretagna fin dall’indipendenza.
La vittoria del partito congressista e il suicidio di Balmaceda, sanciscono definitivamente il ruolo della Marina come garante dell’ordine e della stabilità economica del paese e, soprattutto, aiuta a definire la dualità di fondo che contrapporrà queste due anime delle forze armate cilene: la Marina più interventista, mentre l’Esercito con una vocazione interna più lealista. Non a caso, il golpe dell’11 settembre 1973 prende il via proprio dai porti militari di Valparaíso.
Esercito e conflitto sociale
Altro importante fattore è la funzione anticonflittuale e, successivamente, anticomunista che le Forze armate cilene hanno avuto fin dall’inizio del XX secolo, come dimostra la repressione nel lungo di ciclo di scioperi del 1902-1907, terminato con il massacro di Iquique, quando tra le 2 e le 3 mila persone vennero uccise nella scuola elementare del paese minerario durante uno dei più importanti scioperi di minatori della storia cilena; o come testimonia anche la repressione di 293 agitazioni sindacali tra il 1917 e il 1920.
E’ soprattutto la coda lunga della crisi economica che si abbatte sul Cile che però porta un ripetuto intervento dell’esercito nella vita politica del paese: la crisi infatti da economica diventa rapidamente politica e istituzionale: dal 12 settembre 1924, con il primo golpe del generale Luis Altamirano, si avviano anni turbolenti, dove si susseguono colpi di stato e governi democratici deboli, fino al ripristino della stabilità con il governo di Arturo Alessandri Palmi nel ’32 (autore nel ’25 della riforma presidenzialista della Costituzione).
Al termine del turbolento decennio, viene formulata la cosiddetta “dottrina del professionismo apolitico dell’esercito”, base della futura “dottrina Schneider” ai tempi di Allende, che determina il lealismo costituzionale delle forze armate e ne vieta il ruolo politico attivo.
La figura di Carlos Ibáñez del Campo
Primo dittatore militare a pieni poteri, dal 1927 al ’31, la figura di Ibañez del Campo è destinata a entrare nella storia cilena da quel momento e uscirne solo nel 1958, quando terminerà il suo mandato elettorale come presidente della repubblica. Per certi versi può essere considerato un anticipatore di quel populismo autoritario latinoamericano di matrice militare, il cui più famoso esponente sarà l’argentino Juan Domingo Peròn. Sostenitore dell’intervento militare contro corruzione e decadenza della classe politica, a favore dell’autoritarismo di Stato, protagonisti di diversi tentativi falliti di golpe filo-nazisti, Ibañez del Campo diventerà a più riprese punto di riferimento dell’estrema destra cilena e dei partiti nazionalisti, fino alla vittoria elettorale nel 1952 con il suo Partido Agrario Laborista. L’ibañismo rappresenterà una radicalizzazione dei movimenti conservatori e nazionalisti, oltre che una loro omogeneizzazione politica.
La legislazione di emergenza
Altro dato importante: il Cile conosce una importante produzione di legislazione emergenziale, nata dopo le turbolenze del ventennio ’20-’40, che verrà più volte riformata e cambiata, ma comunque mantenuta in vita fino ad oggi. Dalla primissima legge di difesa dello Stato (che metteva appunto fuori legge PCCh e sindacati) della dittatura militare di Ibañez del Campo, si passa poi nel 1948 alla Ley de Defensa Permanente de la Democracia proposta dal governo di Alessandri: figlia della Guerra Fredda, la Ley vieta la partecipazione alla vita politica nazionale del Partito comunista. In vigore fino al ’58, quando viene sostituita dalla Ley de Seguridad del Estado del governo di Del Campo, che prevede poteri speciali e sospensione delle norme democratiche in presenza di una minaccia per lo Stato. La Ley ibañista rappresenta la base per la futura Ley antiterrorista inserita nella Costituzione pinochetista dell’80.
[1] E. Galeano, Memoria del fuoco. I Volti e le Maschere, pp. 300-01, Rizzoli 2001