Dopo il golpe in Bolivia, la storia recente latinoamericana non sarà più la stessa
Due avvenimenti di queste settimane stanno segnando la historia reciente del Cono Sud: la rivolta cilena contro le istituzioni della continuità, che ha portato al momento all’annuncio da parte di tutte le forze politiche dell’avvio di un percorso verso una nuova Costituzione (ma non verso una assemblea costituente, cosa ben diversa); il colpo di Stato in Bolivia contro il governo socialista di Evo Morales.
Più che di “fatti”, dovremmo forse parlare di processi tuttora in corso: la situazione in Cile è tutt’altro che pacificata e la piazza sta cercando di costituirsi in movimenti sociali e da lì darsi una piattaforma politica chiara, radicale, di netta rottura, soprattutto per “vigilare” su una classe politica nata e formatasi nella continuità istituzionale della dittatura militare e soprattutto nella cultura politica della dottrina Alwayn e di quelle che potremmo definire dottrina Lagos[1], fondata su pacto del olvido e sulla pacificazione come premessa della democratizzazione del paese. Solo i prossimi mesi ci diranno se i movimenti saranno più forti della Continuità e soprattutto se sapranno battere la “Maggioranza silenziosa” cilena che comunque costituisce metà del corpo politico ed elettorale del paese, giungendo non solo a un nuovo testo costituzionale, ma anche a una assemblea costituente democratica e capillare nella società che sappia e voglia davvero regolare i conti con i 17 anni della dittatura militare (e i quasi 30 di democracia de los acuerdos).