L’idea di questo progetto nasce da un obiettivo preciso: indagare i meccanismi di costruzione della memoria storica, interna a un paese latinoamericano dopo la dittatura militare, attraverso gli sguardi particolari degli intervistati, che sono sia protagonisti di quelle vicende che fonti storiche. Al tempo stesso, facendo analizzare direttamente a loro il problema in questione, aprire un possibile campo di ricerca, ancora da esplorare, relativamente a cosa sia stata la resistenza al regime e cosa ha comportato il compromesso del dopogiunta nel periodo detto della “transizione” (1988-1991).
Riteniamo infatti che queste vicende debbano essere ascoltate e rielaborate con un taglio storico e, in quanto tali, siano utili a fare chiarezza su episodi rimossi e soprattutto a riannodare i fili della trama storica cilena. Il prodotto finale vuole ridare dignità e centralità a storie poco conosciute, esemplificative di un fenomeno collettivo (la repressione, la resistenza, l’esilio, il ritorno) che ha riguardato circa 1 milione di profughi politici nei 17 anni della dittatura; profondamente intrecciate con la storia del nostro paese, riaprendo un dibattito sugli anni di Pinochet e del ritorno della democrazia, oggi normalizzati anzitutto nella memoria.
Il punto di vista, dunque, è quello personale dei protagonisti, che rispondono alle domande dell’intervistatore. I principi a cui ci siamo ispirati in questo lavoro sono quelli della storia orale e della public history: costruire una contronarrazione rispetto a quella mutilata o pacificata a fini di abuso pubblico della storia, partendo dalle parole di chi, pur avendo dato tutto per l’emancipazione sociale del proprio popolo, prima, e alla resistenza al terrore di Stato pinochetista, poi, si è ritrovato afono o silenziato. Lo facciamo lavorando con i testimoni, la storia è costruita assieme a loro e alla loro comunità, in Italia così come in patria.
Più in generale, questa è una storia che ci parla di un fenomeno di estremo interesse per gli storici: la costruzione dei “patti dell’oblio” e della pacificazione in paesi usciti da feroci dittature militari in modo controverso, i cui effetti, sui sistemi politico-sociali e soprattutto a livello di meccanismi della memoria collettiva, sono visibili tutt’oggi. Da questo punto di vista, il continente “desaparecido” è un punto di osservazione ottimale per comprendere il Novecento e, in particolare, il suo periodo-chiave della Guerra Fredda.
Infine, come già detto, questo è un lavoro di squadra: coordinato da Elio Catania, supportato dall’Associazione Lapsus di cui è membro e in parte realizzato all’interno del Master di Public History dell’Università di Modena e Reggio Emilia, sono molte le figure professionali che vi contribuiscono.
Musiche, montaggio, sito web, logo, illustrazioni grafiche: senza le competenze di chi ci ha lavorato e ci lavora, la comunicazione storica di questo progetto sarebbe infinitamente meno efficace. Quindi un grazie a loro.